IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  relativo  a
 Passantino Ignazio, nato a Palermo  il  13  febbraio  1925,  detenuto
 nella  casa  di  reclusione  di  Turi; avente ad oggetto differimento
 esecuzione della pena (art. 147 c.p. ).
   Il tribunale osserva: il Passantino condannato con la  sentenza  10
 gennaio 1995 del tribunale di Como, e pertanto detenuto nella casa di
 reclusione  di  Turi  (Bari),  ha  formulato  domanda di rinvio della
 (ulteriore) esecuzione della pena  detentiva,  allegando  la  propria
 "grave infermita'" fisica ai sensi dell'art. 147, n. 2, c.p.
   Con  proprio  decreto  in  data  25  ottobre  1996 il magistrato di
 sorveglianza di Bari, competente in relazione al luogo di  detenzione
 del condannato, ha rigettato la istanza di differimento immediato, ex
 art.  684  cpv.    c.p.p.,  trasmettendo gli atti al Tribunale per le
 determinazioni definitive.
   Alla odiera camera di consiglio, composto  il  collegio  giudicante
 con  la  partecipazione, con funzioni di presidente, di un magistrato
 di sorveglianza di Bari (come previsto dal comma sesto dell'art.  70,
 legge n. 354/1975) nella persona dello stesso  magistrato  che  aveva
 provveduto  in  via provvisoria ex art. 684 c.p.p., il rappresentante
 della procura generale ha denunciato la sussistenza di  un  vizio  di
 costituzionalita'   della   disciplina,  ricorrendo  la  eadem  ratio
 decidendi della sentenza n. 432/1995 della  Corte  costituzionale  (e
 delle  altre  pronunce  che  hanno  affrontato  il  medesimo  tema  a
 proposito di diverse situazioni processuali).
   La   questione,   rilevante   perche'   attinente  la  costituzione
 dell'odierno collegio giudicante, non puo'  ritenersi  manifestamente
 infondata  e  se  ne impone la risoluzione nella sede competente alla
 stregua delle considerazioni che seguono.
   Illegittimita' costituzionale dell'art. 70, legge n. 354/1975  come
 sostituito  dall'art.  22,  legge n. 633/1986, nella parte in cui non
 prevede che il magistrato di sorveglianza il quale  abbia  provveduto
 sulla  domanda  di  rinvio  immediato  della  esecuzione  della  pena
 detentiva ai sensi dell'art. 684 cpv. c.p.p., non  possa  comorre  il
 collegio  del  tribunale  di  sorveglianza  chiamato  ad  adottare le
 determinazioni definitive sul caso  ai  sensi  dell'art.  147,  comma
 primo,  n.  2 c.p.  (per contrasto con gli artt. 3, primo comma e 24,
 secondo  comma,  della  Costituzione:  rif.  sent.  Corte  cost.   n.
 432/1995).
   La  Corte costituzionale, nel contesto di una giurisprudenza che ha
 affrontato il problema con riguardo a varie  situazioni  processuali,
 ha,  com'e'  noto,  affermato il principio che il giudice penale, nel
 decidere conclusivamente  sul  merito  della  imputazione,  non  deve
 essere  condizionato  dalla  cosiddetta  "forza della prevenzione", e
 cioe' "da quella naturale  tendenza  a  mantenere  un  giudizio  gia'
 espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali
 dello stesso procedimento" (sentenza n. 432/1995).
   Tale  situazione  puo'  ben  verificarsi allorche' un magistrato di
 sorveglianza, che abbia provveduto positivamente o  negativamente  su
 una  domanda  di rinvio immediato della esecuzione ai sensi dell'art.
 684 cpv. c.p.p., sia poi chiamato a comporre,  come  di  regola  deve
 avvenire sensi del  sesto comma dell'art. 70, legge n. 354/1975 testo
 vigente,  il collegio del tribunale di sorveglianza per le definitive
 determinazioni ai sensi dello art. 147, comma primo, n. 2 c.p.
   Si rileva, infatti, che la  decisione  ex  art.  684  e'  in  tutto
 sovrapponibile  a  quella  definitiva,  quanto  ai  suoi  presupposti
 ("Quando  vi  e'  fondato  motivo  per  ritenere  che  sussistono   i
 presupposti  perche'  il  tribunale disponga il rinvio ..." equivale,
 pur nella macchinosita' dell'espressione, a "quando si ritenga che la
 domanda  di  rinvio  sia  fondata",  alla  istruttoria  in   astratto
 espletabile  (considerata  la  natura  del bene giuridico interessato
 dalla decisione, diritto alla salute del  condannato,  il  magistrato
 potrebbe  essere  obbligato  a compiere una indagine approfondita che
 costituira' poi la base della decisione collegiale, specie se  questa
 intervenga  dopo breve lasso di tempo), quanto agli effetti, identici
 salvo   che,   evidentemente,   per   l'efficacia   temporanea    del
 provvedimento cautelare.
   Non  potrebbe  dubitarsi, si ritiene, che quella sottesa al decreto
 ex art. 684 cpv c.p.p. sia una valutazione di merito. Trattasi di una
 misura anticipatoria degli effetti di quella definitiva, per  cui  il
 legislatore   non   sembra  neppure  con  chiarezza  prescrivere  una
 delibazione soltanto sommaria dei presupposti del  differimento.  Ove
 tanto  avesse  voluto, avrebbe poi dovuto necessariamente indicare la
 "direzione" della decisione, all'esito  della  valutazione  sommaria,
 nel conflitto tra i beni, entrambi costituzionalmente tutelati, della
 salute e della obbligatorieta' della azione penale.
   In  ogni caso, i due successivi giudizi paiono porsi in un rapporto
 piu' stretto di quelli considerati dalla citata sentenza n.  432/1995
 (possibile  condizionamento  del magistrato che debba giudicare della
 eventuale  colpevolezza  dell'imputato  dopo  aver  emesso  nei  suoi
 confronti  misure  cautelari),  vuoi con riguardo ai presupposti, che
 quelli delle misure cautelari non coincidono con quelli per assolvere
 o  condannare,  vuoi   con   riferimento   agli   effetti,   giacche'
 l'incompatibilita' del giudicante e' stata ritenuta indipendentemente
 dalla specie della misura cautelare precedentemente da lui applicata.
   Potrebbe   aggiungersi,   forse   con  minore  pertinenza,  che  il
 magistrato di sorveglianza potrebbe sentirsi indotto a  difendere  il
 proprio  provvedimento  monocratico  anche  per  "proteggersi", in un
 senso o nell'altro, per avere per esempio ordinato  ex  art.  684  la
 liberazione  di  un pericoloso pregiudicato ovvero, al contrario, per
 non avere sospeso la esecuzione della pena nei riguardi di persona in
 condizioni di salute delicate. In entrambi i casi egli potrebbe, piu'
 o meno consapevolmente, cercare la "copertura" del giudizio  conforme
 da parte del tribunale.
   Non  sembra potersi giudicare manifestamente infondata la questione
 per la differenza esistente tra il  procedimento  di  sorveglianza  e
 quello   penale   di   cognizione,   in  quanto  il  primo  e'  ormai
 pacificamente ritenuto procedimento giurisdizionale, ed ai fini della
 questione sollevata la sua pronuncia conclusiva  non  sembra  potersi
 differenziare da quella che definisce il processo di cognizione.
   Merita invece di considerare un diverso profilo, sempre legato alle
 peculiarita' dei giudizi della magistratura di sorveglianza.
   La  norma  dell'art.  70,  ord. penit., qui censurata limitatamente
 alla  procedura  di   differimento   cosiddetto   facoltativo   della
 esecuzione  (nei  casi  di  differimento  obbligatorio,  mancando  la
 discrezionalita' del giudizio, la "prevenzione"  del  giudicante  non
 troverebbe  spazio per manifestarsi), stabilisce com'e' noto che, nel
 collegio del tribunale  di  sorveglianza,  "uno  dei  due  magistrati
 ordinari  deve  essere  il  magistrato  di  sorveglianza sotto la cui
 giurisdizione e' posto il condannato o l'internato in ordine alla cui
 posizione si deve provvedere" (comma sesto). Tanto  viene  prescritto
 perche'  il  tribunale  di  sorveglianza  giudica  normalmente non di
 fatti, bensi' di persone, e segnatamente della pericolosita'  sociale
 di  queste  ovvero  della  intrapresa,  da parte loro, di percorsi di
 reinserimento sociale. Per questo la  presenza  nel  collegio  di  un
 magistrato  "prevenuto",  per aver gia' esaminato a piu' riprese ed a
 vari fini la posizione di un determinato condannato,  viene  ritenuta
 non gia' di pregiudizio ad un "giusto processo", bensi' necessaria ad
 assicurare l'introduzione nel giudizio del maggior numero di elementi
 atti  a  conoscere  la  personalita'  dell'interessato ed il grado di
 maturazione da lui conseguito attraverso il trattamento  rieducativo.
 Elementi   che,   naturalmente,   sono   posseduti  innanzitutto  dal
 magistrato di sorveglianza competente per quel condannato.
   Infondata apparirebbe, la questione di legittimita' qui  sollevata,
 ove  la si riferisse, per esempio, alla prevenzione del magistrato di
 sorveglianza che abbia  disposto  la  sospensione  cautelativa  della
 esecuzione  di una misura alternativa (art. 51-ter, legge n. 354/75),
 proponendone al tribunale la revoca, quando tale magistrato partecipi
 poi, come di norma e' stabilito, al  giudizio  sulla  revoca  stessa.
 Questione  infondata  perche' quel magistrato deve, pur nel confronto
 collegiale, introdurre il suo patrimonio di conoscenze onde  giungere
 a   determinare   se   la   prosecuzione  della  misura  sia  o  meno
 incompatibile con la condotta tenuta dal condannato (v. per es.  art.
 47, comma undicesimo, legge n. 354/1975.
   Tanto pero' non puo' affermarsi del caso in esame.
   Il   giudizio   ex  art.  147  c.p.,  con  particolare  riferimento
 all'accertamento della  "grave  infermita'  fisica  del  condannato",
 ipotesi  di  gran  lunga piu' frequente, e' in qualche modo "atipico"
 nell'ambito delle attribuzioni del tribunale di sorveglianza. In esso
 il giudice non e' chiamato a valutare la personalita' del condannato,
 ne' la sua pericolosita' ovvero la sua motivazione a reinserirsi  nel
 tessuto sociale. Deve, invece, verificare se la esecuzione della pena
 detentiva  nei  suoi confronti debba qualificarsi "contraria al senso
 di umanita'", (art.  27 Cost.) a cagione della sua "grave  infermita'
 fisica",  ovvero  che  la  sua  salute  sarebbe  pregiudicata  per la
 esperienza detentiva (in limiti  non  essenziali  al  normale  carico
 afflittivo della pena) a causa della insufficienza o dell'inidoneita'
 del trattamento sanitario praticabile nel corso della espiazione.
   Devono dunque compiersi tecnici, anche con l'ausilio di consulenti,
 e  susseguenti delicati giudizi di bilanciamento tra beni di rilievo,
 giudizi rispetto  ai  quali  e'  comunque  ininfluente  la  pregressa
 conoscenza   del  condannato:  tutti  i  dati  sanitari  rilevanti  a
 definirne le  attuali  condizioni  di  salute  potranno  naturalmente
 essere  acquisiti,  benche' riferiti al passato; ma la natura tecnica
 della valutazione esclude che la pregressa  conoscenza  del  soggetto
 possa  riuscire  utile  ad una piu' esatta decisione. Non di giudizio
 sulla persona a ben vedere si tratta, bensi' di giudizio sul  diritto
 alla   salute  del  condannato  nel  conflitto  con  altri  interessi
 giuridicamente tutelati.
   In tali procedimenti,  pertanto,  non  si  puo'  costituzionalmente
 ammettere  il  condizionamento  del  giudicante,  nei  termini  sopra
 illustrati ed alla stregua dei principi  sanciti  dalla  sentenza  n.
 432/1995 della Corte cost., piu' volte citata.
   Ne  segue  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per
 la risoluzione della questione.